Fonte: LIMES-Rivista di geopolitica
Per la quinta volta il governo di Bogotá cerca un accordo con una
guerriglia per la fine delle violenze. La storia delle trattative
precedenti e l'evoluzione delle Farc. Uribe critica l'attuale
presidente colombiano e non si fida di Hugo Chávez.
È materia di dibattito storico se la guerra civile colombiana duri dal 30 maggio 1964,
o addirittura dal 9 aprile del 1948. La seconda è la data in cui Jorge
Eliécer Gaitán, leader populista del Partito liberale, fu assassinato da
un conservatore.
L’omicidio scatenò il Bogotazo, come fu
chiamata la violenta insurrezione della capitale contro il governo
conservatore. Repressa a Bogotá, la rivolta si riaccese nelle campagne,
sfociando in un confronto armato tra liberali e conservatori che fu
chiamato Violencia, e che provocò tra i 200 e i 300 mila morti.
Per porvi termine prese il potere il generale Gustavo Rojas Pinilla,
che cercò di superare le ataviche rivalità tra i due partiti
tradizionali con un nuovo regime chiaramente ispirato al modello
peronista. Ma liberali e conservatori allora raggiunsero una storica
riappacificazione e rovesciarono Rojas Pinilla, stabilendo quel regime
del Fronte Nazionale che tra 1958 e 1978 occupò tutto il potere.
Proprio la riduzione degli spazi di opposizione favorì la nascita di varie guerriglie,
in un’epoca in cui tutta l’America Latina era impressionata
dall’esempio della Rivoluzione Cubana. In più, c’erano quei guerriglieri
liberali irriducibili che nel clima di odio generato dalla Violencia
non accettarono la riappacificazione con i conservatori; in alcuni casi
si trasformarono in semplici banditi, in altri si radicalizzarono e si
collegarono al Partito Comunista. La data del 30 maggio del 1964 è
appunto quella in cui un gruppo di questi ex-liberali, guidato da Pedro
Antonio Marín alias Manuel Marulanda Vélez alias Tirofijo, costituì
formalmente il primo “fronte” di quelle che in breve sarebbero diventate
note come Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia: le Farc.
Come detto, le Farc non furono l'unico movimento armato colombiano.
Accanto a esse sorsero infatti l’Esercito di liberazione nazionale
(Eln, castrista); l’Esercito popolare di liberazione (Epl, maoista); il
Partito rivoluzionario dei lavoratori (Prt, trotskista); il Quintín Lame
(indigenista). Poi, negli anni ’70, nacque l’M-19: un gruppo di
nostalgici di Rojas Pinilla ma alimentato da un tipo di sensibilità da
sinistra post-marxista che, salvo l’uso della lotta armata, può essere
considerata abbastanza simile a quella che nell’Italia dell’epoca fu
incarnata dal Partito radicale e che in Germania avrebbe portato alla
nascita dei Verdi. Questa seconda guerra, a partire dal 1964, in 48 anni
ha fatto altri 120 mila morti.
Ci sono stati quattro tentativi di arrivare alla pace.
Il primo, nel 1984, con le Farc, che accettarono di entrare nel gioco
politico democratico attraverso la piattaforma della Unione Patriottica.
Ma ben 5 mila suoi militanti negli anni successivi furono sterminati da
elementi di destra contrari alla pace, e comunque le Farc non avevano
effettivamente smobilitato. Il secondo fu nel 1991 e portò all’elezione
di un’Assemblea Costituente che fece la Costituzione tuttora esistente.
M-19, Epl, Prt e Quintín Lame si trasformarono in partiti politici
legali - l’M-19 ebbe perfino un ministro - ma Farc e Eln continuarono a
combattere, a volte anche tra di loro.
Nel 1993 fu ucciso il capo del cartello di Medellín, Pablo Escobar.
Nel 1994 fu eletto presidente il liberale Ernesto Samper, di cui quasi
subito saltò fuori che per la campagna elettorale aveva preso soldi dal
cartello di Cali. Le Farc riuscirono a inserirsi nell’economia della
droga al posto dei cartelli smantellati e approfittarono anche della
riduzione degli aiuti Usa alla Colombia come sanzione contro Samper;
passarono decisamente all’offensiva, accerchiando in pratica le grandi
città e cercando una vittoria militare. Eletto nel 1998 su una
piattaforma di dialogo con la guerriglia, il conservatore Andrés
Pastrana impostò il terzo processo di pace. Concesse alle Farc una “zona
di ripiegamento” in Amazzonia grande più della Svizzera, e vi si recò a
stringere le mani a Tirofijo, venendo salutato da un picchetto d’onore
dei guerriglieri.
Anche la Cia aveva dato il suo benestare, ma il 25 febbraio 1999
tre indigenisti statunitensi che si erano recati in Colombia per
assistere l’etnia indigena u’wa nella sua lotta contro la multinazionale
petrolifera Occidental vennero assassinati da un commando delle Farc,
secondo le quali la loro cittadinanza Usa li rendeva “nemici” al di là
dell'impegno contro le multinazionali. Si trattava di Terence Fleitas,
di 24 anni; Ingrid Washinawatok, di 41; e Larry Gay Lahe’na’e, di 39.
Erano membri di Pacific Cultural Conservancy International,
un’organizzazione che lotta per “la salvaguardia delle 1400 etnie
indigene che vivono distribuite sulle due coste del Pacifico” e per la
tutela dell’habitat naturale di questi popoli. Freitas era un biologo,
ricercatore presso l’Università di Santa Cruz e esperto in fiori
selvatici; Ingrid Washinawatok, ecologista e indigenista, era
un’indiana, appartenente alla tribù dei menomee del Winsconsin e
presidente dell’associazione che raccoglie gli indiani residenti a New
York; Larry Gay Lahe’na’e, a sua volta, era una leader polinesiana delle
Hawaii. Quando il 5 marzo i cadaveri dei tre furono ritrovati oltre il
confine del Venezuela e le autorità colombiane diedero subito la colpa
alle Farc, non mancò in principio qualche dubbio: Freitas aveva fatto
sapere a un’amica di essere seguito da gente della Occidental Petroleum,
la polizia aveva trattato i tre con malcelato fastidio. Ma furono le
stesse Farc ad ammettere tranquillamente la responsabilità del loro
assassinio. “Chi ha dato l’ordine di ucciderli ha agito però di testa
sua, senza consultarsi con la direzione nazionale del movimento”, si
giustificarono.
Dal momento che le Farc, pur chiedendo scusa, si rifiutarono di consegnare i responsabili, il
risultato fu la rottura con gli Usa. Di lì a poco, anche il processo
col governo colombiano deragliò. Gran parte dell’opinione pubblica era
indignata per il modo in cui le Farc continuavano con le loro operazioni
militari e i loro sequestri, usando per giunta la “zona di
ripiegamento”. Va però riconosciuto che a loro volta erano attaccate da
gruppi paramilitari di estrema destra di cui erano noti i legami con i
militari, e che comunque le stesse Forze Armate colombiane continuavano
ad agire. Uscendo dalle polemiche sugli eventi, è evidente che né il
governo colombiano né il comando delle Farc erano effettivamente in
grado di imporre una tregua a tutti i combattenti in campo. Dopo che lo
stesso Pastrana si era riconvertito a una strategia militare, nel 2002
il liberale dissidente Álvaro Uribe Vélez fu eletto con una piattaforma
basata sulla linea dura; mantenne per otto anni un’alta popolarità anche grazie ai duri colpi inflitti alle Farc. Quando fu eletto, le Farc avevano 24 mila combattenti e controllavano metà del paese, anche se quella spopolata.
Quando passò la mano al suo delfino Juan Manuel Santos, ex ministro della Difesa,
erano ridotte a 7-8 mila uomini e costrette negli angoli più
inaccessibili; i loro leader più noti erano stati uccisi. Nel contempo,
il clima di maggior fiducia ha consentito alla Colombia una spettacolare
crescita economica, che secondo le previsioni dovrebbe permetterle di
sorpassare a fine 2012 l’Argentina come terza economia latino-americana
(previsto un pil di 362 miliardi di dollari contro i 342 di Buenos
Aires). Il limite di Uribe era però di aver impostato la lotta alle Farc
su un asse di ferro con gli Usa che gli hanno sì garantito 6 miliardi
di dollari di aiuti, ma lo hanno anche esposto a un grave rischio di
isolamento rispetto a un’America Latina che intanto virava decisamente a
sinistra. La sorprendente svolta di Santos, appena eletto, è stata
appunto la normalizzazione dei rapporti con il presidente venezuelano Chávez, anche al costo di rompere con Uribe.
In cambio della rinuncia di Santos a dare agli Usa la base offerta da
Uribe, Chávez è passato dall’appoggio alle Farc - dichiarato dal punto
di vista politico ma secondo varie indiscrezioni importante anche dal
punto di vista militare, ancorché sotto banco - a un’apparente
collaborazione contro di loro, al punto da estradare in Colombia alcuni
loro leader.
Uribe ha ribadito più volte che le Farc comunque continuano ad
avere nel Venezuela un comodo santuario, ed è evidente che i rapporti
tra Chávez e guerriglieri non si sono mai interrotti. Sebbene nei primi
periodi dell’amministrazione Santos la riduzione dell’appoggio
venezuelano abbia favorito nuove sconfitte delle Farc, negli ultimi mesi
i guerriglieri sono clamorosamente tornati all'offensiva.
Liberati in modo unilaterale gli ultimi militari loro prigionieri,
hanno infatti ristrutturato organizzazione e tattiche, iniziando anche
ad aggiornare il modo di finanziamento: dal narcotraffico all’estrazione
illegale di oro e alla richiesta di tangenti alle società petrolifere.
Piuttosto che recuperare una possibilità di vittoria sul campo, però,
hanno raggiunto semplicemente una posizione di stallo.
Juan Manuel Santos è stato il ministro della Difesa di Uribe. Rodrigo Londoño Echeverri “Timochenko”,
ex-responsabile dell’intelligence proiettato alla testa delle Farc
dall’uccisione di Alfonso Cano, a sua volta comandante del movimento
dopo la morte di Tirofijo, è un personaggio particolarmente radicale,
con studi a Mosca e a Cuba. Proprio questo stallo li ha però costretti a
scegliere il dialogo. È stato proprio a Barinas, capoluogo dello Stato
venezuelano dove è nato Chávez, il primo contatto. Tra febbraio e agosto
altri 10 incontri ci sono stati a Cuba, finché il 27 agosto non è stata
annunciata la firma di un accordo preliminare in sei punti, cui sono
seguite altre comunicazioni. Santos, in particolare, è ricorso a una
metafora sportiva, parlando del processo in corso durante la
presentazione di sei nuovi ministri nominati in un rimpasto. “Una
squadra per giocare un secondo tempo della partita, un secondo tempo
pieno di sfide”.
Timochenko l’ha invece buttata in musica, esibendosi
in un ironico rap registrato nella giungla e trasmesso via Internet.
“Me ne vado all’Avana, questa volta a conversar/ il borghese che ci
cercava non ci ha potuto sconfiggere”, dicono i versi, parafrasando una
nota canzone. “Il pedante Chucky Santos si è visto nella necessità/ di
chiedere a Fidel Castro/che lo aiuti con le Farc”. “La Norvegia è venuta
dall’Europa/ e Chávez dal Venezuela con la sua nave vento in poppa/ a
vedere se la pace risuona”. Dopo il primo incontro di Oslo del 5 ottobre
la trattativa si sposterà in effetti all’Avana: Norvegia e Cuba
“garanti”; Cile e Venezuela “accompagnanti”.
Il 7 ottobre però ci sono le elezioni presidenziali in Venezuela.
Uribe ha subito detto che non si può trattare la pace mentre le parti
continuano a combattersi e che non bisognava far entrare Cuba e
Venezuela; secondo lui inoltre il negoziato è anche un gigantesco spot per favorire la rielezione di Chàvez.
Infine, merita raccontare la storia di Noé Suárez Rojas “Grannobles”,
già comandante dei Fronti 10 e 30 del movimento armato. Personaggio
notoriamente squilibrato, era stato il responsabile nel 1999
dell’uccisione dei tre indigenisti; suo fratello era Víctor Julio Suárez
Rojas, alias Jorge Briceño Suárez “Mono Jojoy”, il sanguinario cervello
militare delle Farc, che l’aveva sempre protetto. Il 22 settembre del
2010 “Mono Jojoy” è stato però ucciso in un bombardamento aereo, nella
cosiddetta “Operazione Sodoma”. Rapidamente emarginato, sembra che
Grannobles si fosse ritirato in territorio venezuelano, dedicandosi a
traffico di droga, sbornie e orge con donnine. Fino a quando non si è
rifiutato di obbedire all'ordine di rientrare in territorio colombiano
“a combattere”.
Per questo, a quanto è trapelato, a gennaio le stesse Farc
lo hanno fucilato. Motivazione ufficiale: “disobbedienza”. Oppure si è
voluto dare un segnale, punendo colui che era stato indicato come
responsabile del deragliamento del negoziato di Pastrana? Gennaio è
subito prima dell’inizio del negoziato segreto…
di Maurizio Stefanini
6 settembre 2012
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