Fonte: LIMES-Rivista di geopolitica
Minori investimenti, calo della produzione industriale e dell'export
hanno portato la crescita del Brasile nel 2012 all'1,35%, ben al di
sotto della media regionale. Tuttavia, Parigi e Mosca sono ancora
interessate a concludere affari con il paese. Raúl Castro tra 5 anni
smette.
Pibinho, “Piletto” (pib è la sigla portoghese del nostro pil): così in Brasile hanno ribattezzato il basso livello di crescita dell’economia, di recente misurato ufficialmente dalla Banca Centrale e pari nel 2012 ad appena l’1,35%. Come già ricordato, questo valore è drammaticamente al di sotto della media regionale del 3,1%.
Alla base di questo risultato ci sono diversi elementi,
secondo la Banca Centrale. In primo luogo, la riduzione degli
investimenti dovuta alla crisi internazionale. Poi, il calo del 2.7%
della produzione industriale. L’export è diminuito a causa dei peggiori
raccolti di soia e riso. L’indebitamento delle famiglie brasiliane è
aumentato. Il consumo a fine anno si è inaspettatamente ridotto. Infine,
l’Argentina ha incrementato le barriere all’importazione di prodotti
brasiliani.
D’altra parte, i problemi di inflazione di Argentina e Venezuela e
quelli politici con il Paraguay stanno intaccando l'intero apparato del
Mercosur. Dilma Rousseff insiste nel dire che, grazie ai governi del
Partito dei lavoratori (Pt), il Brasile ha appena trascorso il miglior
decennio della sua storia. Questo è sostanzialmente vero. Tuttavia, la
stessa Dilma per il 2012 aveva promesso una crescita al 4%.
Malgrado vari pacchetti di stimolo, esenzioni
tributarie, misure protezionistiche, tagli dei costi in particolare
dell’energia elettrica, non c’è riuscita. C’è la speranza che per il
2013 si torni al +3%, grazie anche all’effetto volano dei lavori per
mondiali e Olimpiadi. Siamo comunque lontani non solo dal +7,5% del
2010, e, con esso, anche da una delle ragioni primarie di appartenenza
al club dei Brics, di cui in ogni caso rimane l’altra caratteristica
fondante: il grande potenziale geopolitico.
Si teme che troppi stimoli finiscano per alimentare un’inflazione di livello argentino o venezuelano:
non siamo ancora a quei tassi (superiori al 20%), ma già a fine 2012 si
era arrivati al 5,84%. Probabilmente è casuale, ma l’allarme sul
“Pibinho” arriva quasi in contemporanea con il viaggio che il ministro
degli Esteri francese Laurent Fabius ha fatto nella regione tra il 21 e
il 25 febbraio, durante il quale ha visitato Perù, Panama e Colombia.
Si parla spesso di Françafrique per ricordare l’importanza che Parigi continua ad attribuire al suo ruolo in Africa, confermata appunto da Hollande con l’intervento in Mali.
Anche l’America Latina è un luogo storico di interesse per la politica
estera transalpina, fin dai tempi in cui i geopolitici legati a
Napoleone III coniarono l'espressione stessa di America Latina per
enfatizzare il possibile ruolo francese nella regione. Dunque, c’è anche
Françamériquelatine.
Hollande accusa appunto Sarkozy di aver
ridimensionato questa posizione con una serie di scelte sbagliate che
risalgono in realtà all’epoca di Chirac. All’inizio, con la cosiddetta
“betancourtizzazione” delle relazioni con l’area, concentrate nel
tentativo altamente mediatico ma di scarsa rilevanza effettiva di
ottenere la liberazione di Íngrid Betancourt, cittadina francese per
matrimonio oltre che colombiana. Una politica che alla fine ha avuto il
solo risultato di irritare il governo e l’opinione pubblica colombiani,
visto che la Betancourt, ostaggio delle Farc, è stata poi liberata dalle forze speciali di Bogotá.
Altrettanto goffa è stata la gestione del caso Florence Cassez: cittadina
francese arrestata nel 2005 in Messico con le accuse di sequestro di
persona, associazione a delinquere e possesso di armi e munizioni da
guerra; condannata nel 2008 a 96 anni di carcere, poi ridotti in appello
nel 2009 a 60; infine liberata il 23 gennaio 2013 dopo l’annullamento
della condanna per vizi procedurali da parte della Corte Suprema del
Messico. Non senza che, nel febbraio del 2011, non si fosse consumata
una vera e propria guerra diplomatica, con la decisione di Sarkozy di
evocare il caso Cassez a ogni celebrazione dell’”Anno del Messico in
Francia”, e - in risposta - l'annullamento dell'evento da parte dei
messicani.
Insomma, la Francia ha finito per limitare la propria politica latino-americana
quasi solo alle relazioni col Brasile; queste ultime, caso Battisti a
parte, pressoché esclusivamente al tentativo affannoso di piazzare i
loro caccia multiruolo Rafale: un affare che ben tre presidenti
brasiliani di fila hanno rinviato per ben 12 anni. Hollande ha dunque
parlato espressamente di un nuovo corso e ha iniziato a giocare a tutto
campo. Lui stesso è andato al G20 a Los Cabos in Messico e a Rio+20, e, pur senza recarsi anche al vertice Ue-Celac di Santiago del Cile,
ha mandato una rappresentanza di alto livello con il primo ministro
Jean-Marc Ayrault (in Italia non siamo andati oltre il sottosegretario
Marta Dassù), che di passaggio ha visitato anche Buenos Aires.
Ovviamente, il Brasile non è stato trascurato e il
viaggio del ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian dimostra che
comunque Parigi non rinuncia all’affare dei Rafale. Hollande sembra
comunque aver percepito che l’economia latino-americana in questo
momento sta decollando, soprattutto sul versante del Pacifico,
e dopo Ayrault a Santiago ha mandato anche prima il ministro del
Commercio Nicole Bricq in Ecuador e Colombia, e ora appunto anche
Fabius.
Il fatto che il ministro dell’Economia sociale e solidaria Benoît Hamon,
leader della sinistra del Ps, sia stato anche incaricato dei contatti
col Venezuela del malato Hugo Chávez dimostra che nessun aspetto è stato
tralasciato. Con i problemi del Brasile e del Mercosur - va ripetuto -
gli affari in questo momento si fanno soprattutto nel Pacifico. In
Colombia, ormai la seconda economia del Sudamerica, le imprese francesi
rappresentano i primi datori di lavoro stranieri. La Francia è, dopo la
Spagna, il secondo paese per accoglienza degli studenti colombiani in
Europa.
Anche il Perù sta adottando un nuovo programma di borse di studio
che favorisce le università francesi, mentre a Panama ci sono i
contratti per l’allargamento del Canale e per la metro. Comunque, Fabius
andrà entro fine anno anche in Brasile. Non va né considerato l’unica
sponda latinoamericana né trascurato, anche perché il paese continua
comunque ad avere corteggiatori in quantità. Uno ad esempio è il
Giappone, che vuole proporre il progetto per la costruzione di una
superpiattaforma galleggiante per la ricerca di petrolio.
Un altro è la Russia: il primo ministro Dimitri
Medvedev è venuto in visita il 20 e 21 febbraio, firmando accordi di
cooperazione in ambito sportivo e riuscendo a vendere cinque batterie
antiaeree, in vista dei mondiali di calcio e delle Olimpiadi.
Medvedev si è recato poi dal 21 al 23 anche a Cuba, dove
ha ristabilito l’alleanza strategica dei tempi dell’Urss, tagliando una
parte dei 30 miliardi di dollari di debiti, firmando alcuni accordi di
cooperazione in campo energetico, industriale e farmaceutico e vendendo
otto aerei per un ammontare di 650 milioni: tre Antonov An-158, tre
Ilyushin Il-96-400 e due Tupolev Tu-204SM.
In effetti, la Russia è ancora il nono partner economico dell’isola,
anche se nel 2012 l'interscambio è lievemente diminuito: -0,3% di
export russo e -0,1% di import. Come all'epoca sovietica, l’interesse
strategico di Mosca ad avere una sponda nei Caraibi continua a essere
più importante della assoluta, storica non complementarietà tra due
economie entrambe ostinatamente produttrici soprattutto di materie
prime. La società russa Zarubezhneft non riesce a trovare petrolio nel
mare cubano, malgrado le perforazioni che continua a fare con la
piattaforma norvegese Songa Mercur.
A Cuba, dove la visita di Medvedev dimostra chiaramente l’intenzione di tutelarsi qualora Chávez venisse meno in Venezuela, dopo le elezioni
che hanno visto Fidel Castro tornare deputato all’Assemblea Nazionale
del Potere popolare, Raúl è stato rieletto presidente per altri cinque
anni; ha però promesso che sarà il suo ultimo mandato. L’erede designato
è Miguel Díaz-Canel: un 52enne ingegnere elettronico, già ministro
dell’Istruzione superiore tra il 2009 e il 2012, è definito dai
cubanologi un personaggio “brillante ma senza carisma”.
Un tecnocrate che è venuto da una carriera all’interno della nomenclatura di partito.
Attenzione però: sull’incarico di numero due a Cuba c’è una maledizione
quasi peggiore di quella che pende in Italia sui presidenti della
Camera! Roberto Robaina, Carlos Lage, Felipe Pérez Roque e Carlos
Valenciaga sono stati tutti delfini silurati nel modo più feroce,
ogniqualvolta i Castro hanno percepito che stavano assumendo eccessiva
velleità di indipendenza.
di MAURIZIO STEFANINI
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